Durante
l’800 l’emigrazione verso i Paesi al di là dell’Atlantico fu un
fenomeno ampiamente diffuso in tutta Europa. Particolarmente massiccia fu
l’emigrazione avvenuta alla metà del secolo dall’Irlanda a causa di
una malattia che colpì la patata, provocando una terribile carestia:
infatti la patata era l’elemento base dell’alimentazione degli
Irlandesi.
Nella
seconda metà dell’800 il fenomeno andò ulteriormente intensificandosi: a
ciò contribuirono sia la crisi che colpì l’economia mondiale sia il continuo
aumento demografico che nel giro di circa 50 anni fece crescere la popolazione
europea di 150 milioni di abitanti.
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Anche
l’emigrazione italiana conobbe due momenti distinti: una prima ondata
proveniente soprattutto dall’Italia settentrionale e diretta per lo più verso
il Sud America; una seconda che, partendo dall’Italia del Sud, si diresse
verso l’America settentrionale.
Complessivamente
la meta più ambita rimanevano gli Stati Uniti, che stavano attraversando un
periodo di grande sviluppo, richiedevano grandi quantità di manodopera per le
proprie industrie e offrivano grandi estensioni di terre ancora vergini da
coltivare. La gran massa degli immigrati fu comunque costretta a svolgere i
lavori più umili, con retribuzioni ed un tenore di vita che rimasero sempre
assai bassi. Ben pochi furono quelli che riuscirono davvero a fare fortuna,
superando enormi difficoltà a costo di grandissimi sacrifici.
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D’altro canto il sogno più
grande di molti emigrati, e in particolare degli Italiani, non era tanto
arricchirsi all’estero, quanto guadagnare il necessario per sopravvivere,
inviando i propri risparmi in patria, dove speravano di poter condurre in futuro
una vita più agiata. Le emigrazioni rappresentarono anche un fenomeno di
profonda rilevanza sociale e culturale, perché portarono a vivere fianco a
fianco individui di nazionalità e costumi molto diversi.
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