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Incontro
con Donatella Levi La sua avventura inizia nel 1942, quando la sua facoltosa famiglia ebrea inizia ad avere sempre più noie con la legge e nella vita sociale. Donatella dà la colpa di quelle sventure a un taglio che si era procurata tempo prima. La situazione, però, continua ad aggravarsi: parte Delfina, l’adorata balia, fugge il cane compagno di giochi. Sempre più spesso la bimba viene portata dai parenti e al riparo in cantina per sfuggire ai bombardamenti e infine i suoi genitori perdono il lavoro (a causa delle leggi razziali accettate ed applicate anche in Italia nel 1938). Tutti
sono più fragili, specialmente la mamma, molto assente nella vita della
figlioletta, e perciò la bimba è molto triste e non capisce perché si
parli di nemici e in un’altra lingua per di più! Così la famiglia di
Donatella e i suoi nonni decidono di scappare, dicendo alla bambina che la
fuga è “per la sua felicità”, ma la piccola non capisce il
significato di quelle parole. Per fuggire senza dare nell’occhio con valigie varie, vengono messi addosso a Donatella più paia di vestiti. L’autrice vede cambiare spesso il soffitto sopra di lei a seconda della casa che la ospita: prima vede i bachi da seta che la spaventano tanto, poi l’uva e infine i salami. Durante questo lungo viaggio molte sono le nuove conoscenze, come ad esempio il sig. Ottolenghi (che lavora alla radio), le sue figlie, un cugino, il sig. Arnaldo… Questi personaggi appaiono e si incrociano nella vita della bambina come sogni sfuocati perché, appena si illude di aver trovato qualcosa e/o qualcuno, subito esso spariva con l’esigenza di cambiare abitazione. Dalla casa di campagna del signor Ottolenghi si sposta ad Arezzo nell’abitazione di un cugino. Qui tra i vari dialoghi riportati dal libro mi ha colpito il seguente: “…Vedrai che il buon Dio ci aiuterà!”. “Sì, ma le religioni sono un bel problema…”. Questo mi ha fatto capire che la religione può diventare la scusa per un’ingiusta persecuzione. Dalla casa del sig. Arnaldo (che Donatella deve chiamare “zio”) la famiglia si sposta verso Roma dove la povera bimba è obbligata a non chiamare più la mamma Silvana, ma Claudia e lei stessa deve fingere di chiamarsi Rosabianca (e in seguito Maria). Qui Donatella compie un gesto molto significativo per una bimba della sua età: scrive i veri nomi dei parenti sulla carta e poi li avvolge in un pezzo di vetro e li sotterra, fa questo atto per non perdere l’identità e la speranza. Ogni
parente ha un compito ben preciso nei confronti di Donatella. Il nonno,
oltre a farle visitare la città, le insegna a scrivere tra le righe del
giornale, la zia la fa parlare e la mamma le insegna “magie”; a Roma
la bimba ha un bellissimo rapporto con la mamma e con lei condivide tutto
nella giornata, anche il letto. Sono proprio le magie che danno la forza a
Donatella di superare la debolezza causata dal tifo e sono loro che le
fanno apparire il Papa con un mago potente che però non vuole usare i
suoi poteri per aiutarla. Un
giorno un uomo le chiede il nome e Donatella, nel panico, risponde
chiedendogli se vuole sapere il nome vero o quello falso;
quest’affermazione le costa cara perché deve nuovamente trasferirsi. Finita
la guerra, la famiglia ritorna a Verona: è il 1946, Donatella ha sette anni e percepisce la vita come un teatro
le cui scene sono in continuo mutamento. La vita riprende normale: i
genitori tornano al loro lavoro di avvocati, il nonno riprende a
corteggiare le ragazze e, purtroppo, la mamma “fa qualche
scappatella”. Ora gli adulti parlano senza camuffare il linguaggio.
Infatti Donatella sente parlare di deportazione, camere a gas, nazisti,
sterminio, parenti non “tornati”… e, nonostante lei cerchi sul
vocabolario il significato di quelle “strane” parole, si accorge che
le spiegazioni riportate non la soddisfano. Ora non ha più nessuno che le
dedichi attenzione, tranne la nonna e Giovanni (l’autista). Donatella si
trova senza legami affettivi perché la sua realtà familiare è molto
superficiale, giustificata forse dal fatto che, dopo tante paure, gli
adulti si sfogano in questo modo: cercando una falsa libertà? Per
volere della mamma Donatella inizia a frequentare la chiesa cattolica,
anche se non capisce molto l’omelia perché la Messa è in latino, ma
quel che coglie è che la colpa degli Ebrei è quella di aver ucciso Gesù
2000 anni prima. A quel punto la bimba si chiede perché non ci sia stato
perdono da parte dei cristiani che predicano proprio la remissione delle
colpe. Donatella è anche spaventata dalle parole del sacerdote il quale
dice che “gli infedeli bruceranno nel fuoco eterno”. La bimba ha paura
per le sorti dei famigliari, così fa una sorta di “patto” con Dio,
dicendo che lei avrebbe continuato a pregare in cambio della conversione
dei parenti (non tollera l’idea di essere “divisa” da loro dopo la
morte). In questo periodo Donatella trova una amica, Silvana: le due si divertono molto, ma all’improvviso scatta per Donatella il divieto di vedere l’amica perché il padre è comunista. Questo ci fa capire che la persecuzione non è finita, anzi alla persecuzione degli Ebrei si è sostituita la paura per il comunismo. Ogni età ha le sue paure, i suoi mostri da combattere, anche se nel tempo acquistano forme diverse (apartheid, immigrazione…). Per me lo scopo del libro è di farci capire gli effetti terribili della “paura per i diversi”; l’autrice vuole aiutarci a non cadere negli stessi errori del passato. Il libro mostra chiaramente come un’esperienza simile, anche se vissuta in tenera età, non sia stata dimenticata, anzi essa ha lasciato una traccia indelebile in tutti quelli che l’hanno vissuta. L’uomo è spesso crudele con i suoi simili, riuscendo a procurare dolore e sofferenza. Noi giovani dobbiamo impegnarci ad interrompere la catena dell’odio, evitando che l’uomo sia persecutore di altri uomini. La tolleranza e la solidarietà devono essere gli obiettivi vincenti. Ester L’esperienza dell’olocausto vista con gli occhi di una bambina Per il progetto leggere 2005 abbiamo letto in classe il libro di Donatella Levi: "Vuole sapere il nome vero o il nome falso?". Il 10 maggio l’autrice è venuta a scuola per testimoniare dal vivo la sua esperienza di quando era bambina durante la dittatura fascista: aveva solo 2 anni quando dovette cominciare a nascondersi, era piccola, troppo piccola per capire perché tutte quelle fughe notturne e perché i Tedeschi ce l’avessero proprio con loro. Donatella Levi ci ha fatto capire l’importanza di lasciare una traccia alle generazioni future; infatti tra pochi anni i testimoni, che hanno vissuto sulla loro pelle gli orrori inflitti dai Tedeschi, non ci saranno più. Ci ha anche detto che è impossibile perdonare tutte quelle persecuzioni compiute in passato. Lei, pubblicando il libro, ha perso i contatti con tutti i suoi famigliari perché essi non volevano che la loro storia venisse conosciuta. Ci ha anche raccontato che l’anno scorso ha "rivissuto" un’esperienza di odio nei suoi confronti da parte dei vicini di casa che avevano tentato di avvelenare il suo cane perché non gli andava giù il fatto di abitare vicino a una Levi. Questo incontro mi è piaciuto perché ho potuto sentire la testimonianza storica da parte di una donna che in prima persona ha vissuto l’esperienza di quegli anni tragici. Marta |