L’Arco
dei Gavi fu fatto costruire dalla famiglia dei Gavi (“gens gavia”) nella
prima metà del primo secolo d.C. Con esso l’architettura romana segnò una
svolta, passando dall’uso del tufo e del cotto all’uso della pietra e da uno
stile sobrio e funzionale ad una decorazione elegante. Le pareti infatti sono
formate da blocchi di pietra sovrapposti e la parte superiore è arricchita da
colonne scanalate, capitelli, timpano e nicchie con le statue. Anche la
copertura con soffitto a cassettoni è insolita negli archi romani che
solitamente hanno la volta a botte. L’architetto
romano che lo progettò quindi doveva conoscere bene l’architettura
ellenistica. Egli era uno schiavo diventato libero e fece incidere su un blocco
di pietra (fatto molto raro) il suo nome: L.VITRVVIVS L.L. CERDO ARCHITECTVS
(Lucio Vitruvio Cerdone, liberto di Lucio, architetto). La
forma cubica della costruzione con quattro archi (a tutto sesto e larghi solo
metri 2,65) ci fa capire che si trovava all’incrocio di due strade. L’Arco
sorgeva infatti sul rettilineo della strada Postumia, a 150 metri dalla Porta
dei Borsari, dove si congiungevano la via Postumia e la via Gallica. Nel
contesto urbanistico di Verona romana l’Arco dei Gavi assunse un valore
solenne: esso infatti delimitava a sud l’asse stradale più importante della
città, mentre a nord si stagliava la spettacolare scenografia del colle di S.
Pietro. Nel
Medioevo l’arco era inserito nelle mura comunali accanto all’odierna torre
con l’orologio di Castelvecchio. Poiché esso costituiva un ostacolo
all’ingresso in città di truppe e mezzi, Napoleone nel 1805 lo fece abbattere
(sulla strada, proprio di fronte alla torre con l’orologio di Castelvecchio,
si possono ancora vedere le pietre di colore più chiaro dove un tempo sorgeva
l’arco). I vari blocchi, ammassati in piazza Cittadella, furono catalogati uno
per uno dall’ingegnere Giuseppe Barbieri che li fece trasportare sotto gli
arcovoli dell’Arena. Solo nel 1932 l’arco fu ricostruito nella piazza a lato
di Castelvecchio dove ora si trova. |