Il Seicento: peste e colera La peste del 1630 di cui parla il Manzoni ne "I Promessi Sposi" era un flagello sempre incombente sulla popolazione del Seicento: in certi periodi colpiva con ferocia, in altri periodi un po’ meno. Si calcola che in quel secolo le pestilenze, nel veronese, siano state circa 14. Le cause del contagio erano la mancanza di igiene, l'insufficiente nutrizione, le frequenti siccità e carestie. Anche le invasioni degli eserciti che giravano per l’Europa erano veicoli di contagio. A Verona la peste arrivò attraverso Francesco Cevolini, un soldato con abiti comprati o rubati ai Tedeschi. Assieme a lui morirono anche le persone che lo avevano assistito. Dopo un anno di pestilenza, meno di un terzo dei Veronesi rimase vivo. I Picegoti, che erano le persone immuni perché erano riuscite a guarire dalla malattia, giravano con dei carri per caricare i morti o i malati e portarli al lazzareto o al cimitero. Non si hanno molte informazioni sui morti di peste a Lugagnano perché nelle statistiche i morti sono insieme a quelli di San Massimo e Verona. Quando stava per finire la peste, arrivò dall’Oriente il colera e nel frattempo la popolazione moriva anche di pellagra, tubercolosi e tifo. |